Neuromarketing, strategie geniali e discipline alla base
Vi è mai capitato di chiedervi come facciano alcune pubblicità ad essere così coinvolgenti? Quasi come se ci leggessero nel pensiero… Bene, probabilmente dietro c’è stata una strategia di Neuromarketing.
Il neuromarketing è una branca del marketing e delle ricerche di mercato che utilizza metodi e tecniche basate sulle evidenze scientifiche ricavate dallo studio sul cervello. Si tratta dell’unione tra marketing, ricerche di mercato, psicologia e neuroscienza.
Al centro di tutto si trovano il cervello e le modalità con cui esso risponde agli stimoli che gli vengono presentati dall’ambiente che lo circonda. Non esiste una singola teoria che possa spiegare e aiutare a prevedere il comportamento d’acquisto del consumatore, ma più teorie prese in prestito da varie discipline. I consumatori scelgono il prodotto o servizio che offre loro il massimo della qualità, analizzando quale offerta di mercato presenti il maggior valore percepito, e agiscono di conseguenza.
L’obiettivo principale del neuromarketing è sviluppare interesse in tutti e cinque i sensi: ad esempio, pensiamo al successo di aziende quali Ambercrobie&Fitch o Hollister&Co, i cui negozi sono caratterizzati da musica e luci chiaramente ispirate all’ambiente della discoteca e da caratteristici profumi riconoscibili anche ad isolati di distanza.
Il sensory marketing dovrebbe essere al centro dell’innovazione di prodotto e delle strategie di marketing. I sensi dovrebbero diventare la leva principale per creare ed intensificare l’identità di marca ai fini di essere sempre riconosciuti e ricordati dal consumatore.
Vi sono sensazioni soggettive che concorrono al processo d’acquisto e che dipendono dagli stimoli sensoriali attivati nel consumatore al momento della sua decisione. Il compito dell’azienda è quello di trasmettere gli stimoli sensoriali più adatti a convincere il cliente di aver bisogno di un determinato prodotto. Per fare ciò è necessario lo studio delle emozioni irrazionali, che vengono dall’esperienza sensoriale del prodotto.
Un altro caso molto famoso è quello di Dunkin’ Donuts in Corea del Sud. Dunkin’ Donuts è una catena statunitense che si occupa della vendita di caffè e ciambelle: la difficoltà dell’azienda è subentrata nel 2012 in Corea del Sud, precisamente a Seoul, città caotica e trafficata in cui difficilmente i cartelloni pubblicitari attirano l’attenzione. L’obbiettivo dell’azienda era quello di incoraggiare le persone a scegliere il caffè di Dunkin’ Donuts piuttosto che altri competitor, come ad esempio Starbucks. Ma come fare?
Una strategia di marketing non convenzionale fu l’arma ideale per farsi notare: gli esperti compresero che quell’enorme traffico cittadino poteva essere sfruttato a loro vantaggio. Gli autobus affollati e la metropolitana si rivelarono il mezzo ideale per diffondere il messaggio pubblicitario: su ogni autobus e metro vennero installati dei sensori elettronici che rilasciavano aroma di caffè ogni qual volta il jingle dell’azienda passava in radio.
Questa strategia ha fatto in modo che i consumatori abbinassero il brand Dunkin’ Donuts al profumo del caffè, generando un’intenzione all’acquisto di quel particolare prodotto. La campagna ha incrementato il numero di visitatori ai punti vendita vicini alle fermate dell’autobus del 16% e le vendite negli stessi punti vendita hanno fatto registrare un + 29%.
La teoria alla base di questa strategia di marketing non convenzionale è una delle più studiate in psicologia, cioè il condizionamento classico di Pavlov: associando uno stimolo (l’odore del caffè) a un altro (la pubblicità) si instaura un legame tra i due fino a trasferire la risposta che normalmente si ha di fronte al primo stimolo al secondo.
Questo condizionamento spesso avviene anche in altri ambiti. Siamo abituati ad associare cibi colorati a determinati sapori, come ci dimostra un esperimento di Stilman. Nell’esperimento originale, ad un gruppo di soggetti viene data una bevanda a base di lampone e arancia, il cui colore poteva variare tra rosso, arancio, giallo, verde e incolore. Si trattava sempre però degli stessi due ingredienti alla base, dunque il colore era effettivamente indipendente dal sapore. Tuttavia, i risultati mostrarono quanto i partecipanti fossero significativamente più abili nell’individuare correttamente i sapori in base al colore della propria bevanda: ad esempio, quando la bevanda era stata colorata di rosso, emergeva nei loro pensieri il sapore di lampone. Dunque, le aspettative non solo modificano la nostra percezione del gusto, ma inconsapevolmente (e soltanto alcune volte) ci guidano nella direzione giusta.
L’ultimo caso che andiamo a vedere ci mostra quanto anche la discriminante del prezzo possa influenzare le persone, attraverso l’esperimento di Plassman. Il soggetto dell’esperimento erano due calici di vino: ai consumatori fu comunicato che uno dei due vini aveva un costo di 5$ mentre l’altro di 45$. In realtà il vino era lo stesso. I risultati furono però banali: il vino presentato ad un prezzo dichiarato di 45$ venne percepito come molto più buono rispetto allo stesso, ma proposto a 5$.
La reazione inconsapevole può mettere in guardia il marketing prima di prendere delle decisioni assai complicate. È essenziale conoscere i meccanismi mediante i quali alcuni stimoli vengono memorizzati a preferenza di altri, perché questa conoscenza agevola l’intervento per ottimizzare, ai fini dei pubblicitari e delle aziende per cui lavorano, lo shopping emozionale.
Mediability, occupandosi quotidianamente di pubblicità, è estremamente affascinata da tutti i suoi aspetti e ovviamente anche dal neuromarketing e dalle sue strategie, che ha approfondito. E tu cosa ne pensi? Contattaci se sei interessato e affidati a noi!
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